Oggi al vetrice del più grande partito d'Italia c'è
un'oligarchia spaventata. Non tanto da Matteo Renzi, ma da se
stessa. Dalle proprie sconfitte, dalla propria incapacità di
parlare all'Italia, dal proprio pressappochismo. Dal dato dei
sondaggi, che segnala spietatamente che l'anno prossimo per il Pd
voteranno svariati milioni di italiani in meno. Dalle svanite
sicurezze in cui s'è crogiolata negli ultimi anni, a partire
dall'affidamento su una sinistra europea che oggi vira al centro,
mentre il Pd marcia a sinistra.
A eccezione di Romano Prodi e Walter Veltroni, che hanno scelto
di chiamarsi fuori dalla contesa delle primarie, oggi chi guida il
Pd verso le primarie lo fa come fosse un'azienda familista del
capitalismo italiano: è disposto cioè a tutto per tenere la "ditta"
piccola, purché resti a gestione familiare. Non si vogliono
primarie vere e un partito aperto perché si ha paura di perderne il
controllo. Meglio non crescere in partecipazione e consenso,
piuttosto che rischiare di perdere quote di sovranità.
La questione non è formalista e male fanno a renderla tale gli
aedi della poesia delle primarie. La prosa organizzativa di un
partito, il suo modo di gestirsi al suo interno, rappresenta il
manuale d'istruzione di come quel partito si rapporterà al suo
esterno. Il modo in cui regoli la tua democrazia interna coincide
col modo in cui ti relazionerai all'esterno nella competizione
democratica per la ricerca del consenso. Il modo in cui scegli di
fare le primarie corrisponde al modo in cui costruirai la tua
offerta politica per le elezioni.
Le regole per le primarie di coalizione ci sono già: sono quelle
del 2005. Qualsiasi tradimento di quel regolamento rappresenta
l'ennesima manifestazione della paura dell'oligarchia del Pd. Lo
sforzo da fare per ottenere che le norme siano quelle già
utilizzate in passato non è tanto nell'esercizio burocratico,
quanto nella cultura politica. Un orizzonte di governo condiviso
che, non solo pretenda che il regolamento sia quello del 2005, ma
richieda anche un massimo comune divisore (e non un minimo comune
multiplo) tra i programmi e i posizionamenti in campo.
Se si scelgono le primarie per selezionare i leader, si sceglie
di deporre lo scettro dell'oligarchia per cedere sovranità al
popolo degli elettori, nei termini di una scelta consapevole e
conseguente di costruzione di un partito capace di parlare a tutta
la società italiana. In un momento di crisi della politica così
drammatico, occorrono primarie con regole aperte, perché la cosa di
cui abbiamo più bisogno è una nuova legittimazione. Non capire
questo significa non vivere nei tempi presenti.
Forma e sostanza pari sono. E chi non le fa muovere insieme o
non capisce che, per dirla con Gramsci, «ogni distinzione tra il
dirigere e l'organizzare indica una deviazione e spesso un
tradimento», e allora deve smetterla di fare politica, o, più
semplicemente, è un furbetto.