martedì 4 dicembre 2012

Bersani, che fare?

martedì 4 dicembre 2012. Categoria: A conti fatti, Autore: Fasano&Rodriguez 
Bersani, che fare?
La vittoria di Pierluigi Bersani è stata riconosciuta da Renzi oltre la sua reale consistenza, perché l'affermazione del sindaco di Firenze per dimensioni assunte rappresenta una sfida ancora aperta, niente affatto conclusa. Nel suo discorso di riconoscimento della sconfitta, Renzi ha infatti rilanciato la sfida: "Chi ha vinto ha l'onore e l'onere di rappresentare anche gli altri, senza alcun inciucio e impiccio. Chi ha perso deve dimostrare di saper vivere la dignità e l'onore, proprio quando la maggioranza sta da un'altra parte".
Ecco quello che davvero spetta ora al candidato premier del centrosinistra: orientare il suo comportamento verso le domande di rappresentanza poste dal suo sfidante. Se Bersani vuole avere il sostegno convinto della sua stessa parte deve riconoscere il valore e l'importanza delle questioni fatte emergere (non solo poste) da Renzi con un sostegno di voti che schiaccia non solo Puppato e Tabacci ma soprattutto Vendola: innanzitutto un approccio più innovativamente liberal democratico piuttosto che conservativamente socialdemocratico alle questioni sociali e economiche, un taglio netto con comportamenti di tutela verso le posizioni di rendita soprattutto all'interno del ceto politico, una netta accelerazione alla dinamica competitiva per valorizzare merito e talenti.
Sono questioni che Bersani non può risolvere con un po' più di buonsenso, un po' più di equità, un po' più di lavoro, un po' più di sviluppo. Adesso, le due o tre idee che dice di avere in testa per il futuro di «'sto paese» dovranno venire fuori perché non basterà un successo elettorale (se ci sarà) determinato più dall'inconsistenza dell'avversario che dal sostegno popolare. Per dare al governo che dovrà (continuare) a prendere decisioni molto difficili, la legittimità necessaria ci vuole un di più di sostegno. Bisognerà bilanciare il problema di una vittoria che avverrà, molto probabilmente, con una legge elettorale definita da tutti una porcata. Questo di più di legittimazione potrà avvenire solo se Bersani saprà parlare a tutti gli italiani, vincendo l'ossessione di rivolgersi solo al suo campo, lasciando ad altri gli altri campi da rappresentare (e di campi, sia detto chiaramente, non esiste solo quello dei moderati: dire che si governa per tutti non è solo un artificio retorico!).
E credere che sia semplice raggiungere questo obiettivo sarebbe sbagliato. Queste primarie hanno visto la partecipazione di due gruppi, culturalmente, socialmente e antropologicamente diversi.
Da una parte, i sostenitori (la tribù?) di Bersani, costituito soprattutto da veterani delle primarie in servizio permanente effettivo, chiaramente collocati nel centrosinistra, in larga maggioranza over 55, mediamente poco istruiti, ultimi eredi dei partiti di massa strutturati, delle fedi civili, delle chiese politiche, che da anni celebrano il rito del voto di appartenenza. Dall'altra parte, i sostenitori di Renzi, costituito da vere e proprie matricole delle primarie, nuove a questo tipo di esperienza, mobilitate da una campagna elettorale emotivamente intensa, che ne ha scatenato l'entusiasmo, meno schierati politicamente (prevalentemente collocati al centro del continuum sinistra/destra), in maggioranza fra i 35 e i 45 anni, studenti e giovani professionisti, in gran parte laureati e diplomati.
È chiaro che chi intende rappresentare e governare l'Italia a tutto tondo, non può fare a meno di interpretare queste due presenze. E se i sostenitori (la tribù) di Bersani continua a rappresentare lo zoccolo duro di una tradizione post-comunista e post-democristiana che si propone di aggiornare il compromesso storico Berlinguer-Moro nello scenario di una società italiana profondamente mutata rispetto al passato, il popolo (la tribù) di Renzi rappresenta il futuro di un centrosinistra in grado di rivolgersi senza timori a quei settori della società italiana che fino a ieri si trovavano al di là di uno steccato sinistra/destra che il fenomeno Berlusconi ha negli ultimi venti anni contribuito a rendere sostanzialmente invalicabile.
In questo senso, vi sono alcune caratteristiche del voto di Renzi che non possono lasciare indifferenti né Bersani né l'attuale gruppo dirigente del Partito democratico. In primo luogo, il fatto che il 42,9% dei consensi andati al sindaco di Firenze sono costituiti da debuttanti, persone che non si erano mai mobilitati prima del 25 novembre nel grande recinto delle primarie del PD e del centrosinistra. In secondo luogo, il fatto che poco meno del 16 per cento dei consensi di Renzi provenga da elettori che alle elezioni politiche del 2008 avevano votato partiti di centrodestra o di centro. Proprio questi due dati forniscono la prova più evidente di come il Partito Democratico, se solo avesse un po' più di coraggio, potrebbe davvero riprendere la strada di quella vocazione maggioritaria a cui Veltroni fece riferimento all'epoca dello statu nascenti.

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