martedì 22 maggio 2012

l’Islanda ha battuto l’Antipolitica

pubblicata da Daniela Cirillo il giorno domenica 20 maggio 2012 alle ore 17.51 ·
Le note sirene ci ripetono: Per salvarci dalla crisi dei debiti, per salvare l’euro, ci vuole «più Europa». Una vera federazione, un governo unico. La salvezza è nella definitiva cessione della sovranità degli Stati nazionali a un supergoverno con tutti i poteri d’intrusione nelle finanze locali, e il potere di tassare. Va messa tra parentesi la democrazia. Il problema è così intrattabile, che richiede tecnocrazie di veri esperti. La vastità della crisi richiede una entità colossale come gli USA o la Cina; tornare alle monete nazionali non è possibile, Stati troppo piccoli sono insostenibili, sarebbero preda della grande speculazione.
Non è solo che lo dicono: lo stanno facendo. Ora, poichè la crisi sta per precipitare con l’uscita della Grecia dall’euro e il contraccolpo di panico – che obbligherà i nostri tecnici a limitarci l’accesso ai nostri stessi conti bancari, ricordiamoci che esiste un esempio contrario.
È un esempio recentissimo. Ed è accaduto in Europa. È il modello islandese.
Avete notato? I media tacciono dell’Islanda. È un esempio che non piace a banchieri, a tecnici e ai partiti.

Ricapitoliamo:

Nel 2008, l’Islanda scopre che le sue più grandi banche, Glitnir, Landsbankki e Kaupthing, a forza di «ingengneria finanziaria», hanno accumulato un debito più di sei volte il Prodotto Interno Lordo del Paese.
Il governo in carica nazionalizza la banca principale; alza i tassi d’interesse al 18% per frenare la fuga di capitali, ma anche perchè glielo detta il Fondo Monetario Internazionale, a cui il governo ha chiesto un prestito. La moneta nazionale, Krona, viene svalutata; il «risanamento» viene imposto a forza di austerità, secondo i dettami del FMI. La crisi si approfondisce, la disoccupazione aumenta, il Paese entra in recessione.
L’idea del FMI è che lo Stato islandese debba accollarsi il «salvataggio» delle sue banche (ossia dei loro creditori) a spese dei contribuenti islandesi: con la certezza che lo Stato sarebbe presto ridotto all’insolvenza.
La «politica» propone una legge che contempla il ripagamento dei debiti (che le banche hanno contratto principalmente con investitori inglesi e olandesi), per 3.500 milioni di euro, che il popolo islandese dovrà versare in rate mensili per 15 anni, con un interesse del 5,5%.
I cittadini islandesi manifestano di fronte al parlamento, chiedono e ottengono nuove elezioni. Il Primo Ministro, l’intero governo e anche il governatore della Banca Centrale sono costretti a dimettersi.
Gennaio 2010: il popolo scende di nuovo in piazza e reclama un referendum. Questo si tiene in marzo, e il 93% dei votanti rifiutano di pagare il debito delle banche. I governi di Regno Unito e Olanda, in difesa delle loro banche creditrici, minacciano di trascinare l’Islanda davanti ai tribunali internazionali, e persino di applicare al piccolo Paese le leggi antiterrorismo.
Il governo islandese confeziona un sistema di garanzia per i creditori inglesi e olandesi. Il popolo esige di nuovo un referendum su questo; il presidente della politica rifiuta la firma alla ratifica; il referendum viene tenuto ugualmente: la garanzia di Stato ai creditori esteri viene bocciata da quasi il 60% dei votanti.
Intanto il nuovo governo ha aperto un’inchiesta per identificare i responsabili della crisi: molti alti dirigenti e banchieri sono arrestati, all’Interpol viene chiesto di emanare direttive in modo da impedire che chiunque sia coinvolto nel crack abbandoni il Paese. (Iceland Solves Banking Crisis by Indicting Bankers, Forcing Mortgage Relief)
Nel pieno della crisi, il popolo elegge un’assemblea con il compito di riscrivere una nuova Costituzione, dove si tenga conto delle lezioni apprese dalla bancarotta, e che sostituisca quella in vigore.
Da 552 candidati, sono scelti democraticamente 25 cittadini: le sole condizioni per candidarsi sono: età adulta, avere il sostegno di 30 cittadini, non avere affiliazioni partitiche. Questa assemblea costituzionale comincia ad agire nel febbraio 2011, per presentare una bozza di Magna Carta che tenga conto delle raccomandazioni giunte dalle diverse assemblee che hanno luogo in tutto il Paese. Essa deve essere approvata dal nuovo parlamento in vigore, e da quello che nascerà dalle prossime legislative.

Ricapitoliamo. La rivoluzione islandese ha provocato:

- Le dimissioni dell’intero governo.

- La bancarotta (anziché il «salvataggio») delle banche speculative, senza accollare il debito ai cittadini.

- Due referendum in cui il popolo si appropria delle decisioni economiche.

- La carcerazione dei colpevoli.

- La riscrittura della Costituzione da parte del popolo.

- Va da sè che tutto ciò, e la svalutazione (l’Islanda ha ancora la sua moneta) ha prodotto una ripresa economica e una nuova competitività.

E tutto ciò è stato attuato in un Paese piccolissimo (320 mila abitanti) che sembrava destinato a diventare l’indifeso zimbello della grande finanza; è stato attuato con la democrazia diretta, con pressioni della piazza, con il recupero della piena sovranità popolare, con il ripudio del debito.
Tutto ciò, insomma, che viene bollato come «Antipolitica» dal Quirinale e dalla nostra partitocrazia. Ormai deve essere chiaro: lAntipolitica, sono i partiti politici. L’Antipolitica non sta in piazza, ma dentro il parlamento, dove si è asserragliata. Tant’è vero che i partiti occupano le giornate, in Parlamento e nei suoi corridoi, ad escogitare qualche trucco legislativo per tenersi i rimborsi elettorali enormi e indebiti, che l’opinione pubblica – che li paga – vorrebbe decurtati. È ormai il solo scopo per cui esistono ed agiscono, ed è azione per eccellenza Antipolitica: occupazione dello spazio pubblico (politico) per scopi privati.
Sono a tal punto Antipolitici, i nostri partiti, che ormai lasciano che a governare siano quegli altri, i tecnici, scelti da poteri esterni; i partiti di governare (atto politico) non hanno nè voglia nè tempo, occupati come sono a escogitare trucchi legislativi per tenersi i quattrini, e continuare a riceverne a fiumi, se possibile senza farsene accorgere dai contribuenti. È indicativo che, nel parlamento italiano, non esista più distinzione tra maggioranza e opposizione: le due parti sono unite nella cospirazione per arraffare e non cedere le centinaia di milioni di euro.
L’altra loro grande occupazione Antipolitica è mettersi d’accordo su un sistema elettorale nuovo, che non li spazzi via anche se l’elettorato non li vuole più. Le presidenziali francesi hanno mostrato anche agli italiani meno attenti che il sistema di cui il Paese ha bisogno è proprio il doppio turno francese: dove la frammentarietà della scena politica, visibile nel primo turno anche in Francia (una decina di candidati presidenziali) si compone nel secondo, con una scelta netta, che garantisce cinque anni di governabilità. Ma i nostri partiti, che incarnano l’Antipolitica nella forma più pura, della governabilità se ne infischiano; il sistema che cercano di cucinare è un super-proporzionale, che mantenga tutti i partiti e partitini esistenti ed anzi li moltiplichi (un paio di deputati bastano a formare un gruppo parlamentare a parte, ed ottengono altri quattrini per questo).
La loro unica «politica» è: la Nostra Pacchia continui, mentre l’economia produttiva collassa, gli imprenditori si uccidono, la torchia fiscale stritola e tuttavia le entrate tributarie calano inevitabilmente (-3,6% a marzo rispetto il marzo 2011), e il debito pubblico continua a salire alle stelle, passa da un record all’altro, ormai è a 1.946 miliardi di euro. Spero che il dato sia ormai acquisito: l’Antipolitica non è Grillo, non è fuori dal parlamento. L’Antipolitica sono loro. Un altro dato ormai acquisito da tutti è: i «tecnici» che ci hanno messo al governo sono dilettanti, e degli ideologi incompetenti (del resto era prevedibile: sono cattedratici delle università italiane, ne sono il prodotto). Era chiarissimo che il problema più urgente per il Paese è snellire lamministrazione pubblica gigantesca, stratificata in mille centri di spesa, costosissima, corrotta e pletorica, che non solo pesa sull’economia produttiva che deve mantenerla, ma la ostacola e la combatte come fosse il «nemico interno»; ebbene, i «tecnici» hanno cercato per prima cosa di snellire taxisti, farmacisti e notai, poi hanno tagliato le pensioni ed aumentato le tasse – per continuare a mantenere quello Stato amministrativo pletorico, insaziabile e peggio che inefficente, ostile.Insomma: i tecnici non sono capaci di vedere il problema principale, la causa primaria del nostro immane debito pubblico. Diciamo pure che non vogliono vederlo: e anche questo è prevedibile, dopotutto i «tecnici» sono cattedratici universitari, prefetti, ambasciatori, generali, insomma dipendenti pubblici di lusso, sono parte ricevente del grande debito pubblico. Il «mercato» di cui parlano e predicano, loro, non l’hanno mai sperimentato su di sè. E così, appena la tartassata popolazione ha cominciato a puntare il dito su dove si deve tagliare per risanare il Paese: dallo Stato, regioni, Comuni, provincie, Asl, da un sistema scolastico che conta 1 addetto ogni 4 studenti, dallo scandaloso finanziamento pubblico ai partiti, allora che cosa hanno fatto i tecnici? Si sono messi a gridare: «Basta coi tagli! Adesso la crescita». Proprio adesso che dovevano cominciare a tagliare il grasso pubblico. Prima, quando tagliavano a noi, quando ci strappavano tributi esosi su redditi che non avevamo guadagnato, e stroncavano pensionati, la parola d’ordine era: «Austerità». Adesso, persino Monti sentenzia: «Crescita». Ovviamente, i partiti e i sindacati, contentissimi: «Crescita! Adesso la crescita! Andiamo in Europa a pretendere la Crescita!».

Dio sa quanto l’Italia abbia bisogno di crescita.Ma quando tutti questi parassiti e Antipolitici si mettono a gridare Crescita, quel che intendono è: ancora più debito pubblico. Andare in Europa farsi dare il permesso di fare più debito pubblico, perchè «crescita» per loro è sinonimo di «spesa pubblica», e spesa pubblica che non li obblighi a tagliare un Quirinale che costa 4-5 volte Buckingham Palace, partiti politici che non esistono più come Margherita, Fini e Udeur, 800 mila insegnanti, milioni di assenteisti pubblici, intere regioni governate dalla criminalità in combutta coi politici che sprecano senza freni, con debiti colossali a forza di clientelismi e tangenti. Sperano che i tedeschi si pieghino all’emissione di Eurobond, ossia che garantiscano, si sobbarchino in ultima istanza, un debito pubblico fatto di sprechi, privilegi e corruzione; sperano di mantenere anzi accrescere la fetta del 53% della ricchezza prodotta che si accaparrano loro.Quando implorano «Crescita», non è dei licenziati e degli imprenditori che s’impiccano che si preoccupano; è che vogliono scongiurare a tutti i costi la seria riforma dello «Stato amministrativo che la crisi impone». E che sarebbe la fine dei loro privilegi. Bisogna cacciarli via. Bisogna espellere l’Antipolitica dalle poltrone e dai palazzi pubblici in cui si è asserragliata, perchè non serve a niente. E tocca alla popolazione. Lo farà? No, perchè gran parte della popolazione riceve vantaggi – o crede di riceverli – da questa spesa pubblica patologica. Vediamo però nei prossimi giorni. Quando la Grecia sarà sbattuta fuori dall’euro-zona, e il panico finanziario si estenderà immediatamente alla Spagna e all’Italia, e per scongiurare il ritiro in massa dei depositi, il governo «tecnico» stabilirà il controllo dei trasferimenti bancari, e persino imporrà un divieto di ritirare i propri soldi depositati, oltre un certo limite – diciamo 250 euro a settimana... Sarà l’inizio della catastrofe, durerà mesi ed anni, e anche quelli che oggi si credono privilegiati giungeranno a riconoscere che il sistema è insostenilibile. Che bisogna cambiarlo. Poichè è molto probabile che ciò avvenga nel modo più caotico, sporco e violento (*1) , dove ancor più di oggi i furbi e forti saccheggeranno i deboli, ricordiamo che c’è stato un esempio di come un popolo europeo, democraticamente, con energia ma senza violenza, ha cacciato tutti i politici e ha risolto il problema del debito. Si chiama Islanda.


(*1) La recente gambizzazione di Roberto Adinolfi, dirigente di Ansaldo Nucleare, rivendicata dagli anarchici, ci ha ricordato che in questo Paese c’è una sinistra che spara: ma invariabilmente, ai bersagli sbagliati. Di questo primo attentato «rosso», colpisce la vacua arbitrarietà. È un delitto gratuito, senza motivo. Non mira alla liberazione del popolo dall’oppressione statale, ma semplicemente aggiunge alla persecuzione fiscale il terrorismo contro innocenti.
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