martedì 27 settembre 2011

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L’affondo di Bagnasco non deve far dimenticare altri passaggi del suo discorso: c’è un “nuovo soggetto culturale e sociale”, nato dal basso, pronto a impegnarsi
di ANDREA TORNIELLI
 La prolusione pronunciata ieri pomeriggio dal cardinale Angelo Bagnasco può a pieno titolo essere definita dirompente sulla scena politica italiana per il richiamo alla questione morale – o meglio immorale – che riguarda il presidente del Consiglio Berlusconi e che da mesi tiene sotto scacco il Paese e ne mina la credibilità internazionale.
Questo rischia però di far passare in secondo piano altri importanti passaggi del discorso del presidente della Conferenza episcopale italiana, che riguardano la presenza dei cattolici sulla scena politica. Da tempo ormai Benedetto XVI e i vescovi auspicano che sorga in Italia una nuova generazione di cattolici in politica.
 Negli ultimi mesi qualcosa si è mosso, e non si è mosso per input dell’autorità ecclesiastica, ma in seguito a incontri e movimenti dal basso, dalle associazioni del mondo del lavoro d’ispirazione cristiana, che hanno firmato un manifesto per la buona politica, e lavorano a un progetto che potrebbe avere presto connotazione politica, non limitandosi soltanto al livello pre-politico.
Bagnasco ha detto: «Un nucleo più ristretto ma sempre significativo di credenti, sollecitati dagli eventi e sensibilizzati nelle comunità cristiane, ha colto la rinnovata perentorietà di rendere politicamente più operante la propria fede. Sono così nati percorsi diversi, a livelli molteplici, per quanti intendono concorrere alla vitalità e alla modernità della polis, percorsi che hanno dato talora un senso anche di dispersione e scarsa incidenza. Tuttavia, non si può non riconoscere che si è trattato di una sorta di incubazione che, se non ha mancato di produrre qua e là dei primi risultati, sta determinando una situazione nuova, rispetto alla quale un osservatore della tempra di Giuseppe De Rita alcune settimane fa annotava: «Chi fa politica non si rende conto che milioni di fedeli vivono una vicinanza religiosa che si fa sempre più attenta ai “fatti della vita politica”, con comuni opinioni socio-politiche, e con ambizioni di vita comunitaria di buona qualità» (Corriere della sera, 6 agosto 2011)».
 «Sta lievitando infatti – ha continuato – una partecipazione che si farebbe fatica a non registrare, e una nuova consapevolezza che la fede cristiana non danneggia in alcun modo la vita sociale. Anzi! A dar coscienza ai cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori dell’umanizzazione: chi è l’uomo, qual è la sua struttura costitutiva, il suo radicamento religioso, la via aurea dell’autentica giustizia e della pace, del bene comune… Valori – lo diciamo solo di passaggio – che si sta imparando a riconoscere e a proporre con crescente coraggio, e che in realtà finiscono per far sentire i cattolici più uniti di quanto taluno non vorrebbe credere».
 «Non sempre tutto è così lineare, è vero – ha osservato il presidente della Cei -. Lentezze, chiusure, intimismi restano in continuo agguato, ma ci sembra che una tensione si vada sviluppando grazie alle comunità cristiane, alle molteplici aggregazioni ecclesiali o di ispirazione cristiana, e grazie anche al lavoro realizzato dai nostri media, che sono diventati dei concreti laboratori di idee e dei riferimenti ormai imprescindibili. Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica, che – coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita – sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni».
 È un segno di grande attenzione per la novità che si sta producendo nelle file dell’associazionismo cattolico: c’è all’orizzonte un «soggetto culturale e sociale» in grado di interloquire con la politica. E probabilmente anche in grado di fornire uomini per le istituzioni di domani.

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