L’affondo
di Bagnasco non deve far dimenticare altri passaggi del suo discorso: c’è
un “nuovo soggetto culturale e sociale”, nato dal basso, pronto a
impegnarsi
di ANDREA TORNIELLI
La prolusione pronunciata ieri
pomeriggio dal cardinale Angelo Bagnasco può a pieno titolo essere definita dirompente
sulla scena politica italiana per il richiamo alla questione morale –
o meglio immorale – che riguarda il presidente del Consiglio Berlusconi e
che da mesi tiene sotto scacco il Paese e ne mina la credibilità
internazionale.
Questo
rischia però di far passare in secondo piano altri importanti passaggi del
discorso del presidente della Conferenza episcopale italiana, che riguardano la
presenza dei cattolici sulla scena politica. Da tempo ormai Benedetto
XVI e i vescovi auspicano che sorga in Italia una nuova generazione di
cattolici in politica.
Negli
ultimi mesi qualcosa si è mosso, e non si è mosso per input dell’autorità
ecclesiastica, ma in seguito a incontri e movimenti dal basso, dalle
associazioni del mondo del lavoro d’ispirazione cristiana, che hanno
firmato un manifesto per la buona politica, e lavorano a un progetto
che potrebbe avere presto connotazione politica, non limitandosi
soltanto al livello pre-politico.
Bagnasco
ha detto: «Un nucleo più ristretto ma sempre significativo di credenti, sollecitati
dagli eventi e sensibilizzati nelle comunità cristiane, ha colto la rinnovata
perentorietà di rendere politicamente più operante la propria fede. Sono
così nati percorsi diversi, a livelli molteplici, per quanti intendono
concorrere alla vitalità e alla modernità della polis, percorsi che hanno dato
talora un senso anche di dispersione e scarsa incidenza. Tuttavia, non si può
non riconoscere che si è trattato di una sorta di incubazione che, se
non ha mancato di produrre qua e là dei primi risultati, sta determinando una
situazione nuova, rispetto alla quale un osservatore della tempra di Giuseppe
De Rita alcune settimane fa annotava: «Chi fa politica non si rende conto
che milioni di fedeli vivono una vicinanza religiosa che si fa sempre più
attenta ai “fatti della vita politica”, con comuni opinioni
socio-politiche, e con ambizioni di vita comunitaria di buona qualità» (Corriere
della sera, 6 agosto 2011)».
«Sta
lievitando infatti – ha continuato – una partecipazione che
si farebbe fatica a non registrare, e una nuova consapevolezza che la fede
cristiana non danneggia in alcun modo la vita sociale. Anzi! A dar coscienza ai
cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori
dell’umanizzazione: chi è l’uomo, qual è la sua struttura
costitutiva, il suo radicamento religioso, la via aurea dell’autentica
giustizia e della pace, del bene comune… Valori – lo diciamo
solo di passaggio – che si sta imparando a riconoscere e a proporre con
crescente coraggio, e che in realtà finiscono per far sentire i cattolici più
uniti di quanto taluno non vorrebbe credere».
«Non
sempre tutto è così lineare, è vero – ha osservato il presidente della
Cei -. Lentezze, chiusure, intimismi restano in continuo agguato, ma ci sembra
che una tensione si vada sviluppando grazie alle comunità cristiane, alle
molteplici aggregazioni ecclesiali o di ispirazione cristiana, e grazie anche
al lavoro realizzato dai nostri media, che sono diventati dei concreti
laboratori di idee e dei riferimenti ormai imprescindibili. Sembra rapidamente
stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e
sociale di interlocuzione con la politica, che – coniugando
strettamente l’etica sociale con l’etica della vita – sia
promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni».
È
un segno di grande attenzione per la novità che si sta producendo nelle file
dell’associazionismo cattolico: c’è all’orizzonte un «soggetto
culturale e sociale» in grado di interloquire con la politica. E
probabilmente anche in grado di fornire uomini per le istituzioni di domani.
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