mercoledì 6 aprile 2011

NEL 1961 IO C'ERO ( di marco corrini )

Nel 1961 io c’ero. Ero certamente giovanissimo e non in grado di comprendere il significato delle celebrazioni del centenario dell’Unità d’Italia ma comunque c’ero. Era un’Italia divisa economicamente, con un sud povero e rurale ed un nord nel quale si iniziava ad intravedere quella che sarebbe stata la rivoluzione industriale. Era un’Italia profondamente divisa anche politicamente con una DC al potere ed un PCI relegato ad un’eterna opposizione, anche se non così distante, nelle preferenze elettorali, dal Partito di Governo. Era l’Italia del miracolo economico, un miracolo reso possibile proprio dalla collaborazione nascosta e mai apertamente dichiarata dei 2 blocchi politici contendenti. Del miracolo economico del dopoguerra ha beneficiato il nord del Paese ed il divario col Mezzogiorno è andato fortemente dilatandosi. Oggi a 50 anni di distanza abbiamo un Paese ancora più diviso con l’aggravante di una politica inchiodata nel gioco della contrapposizione ed incapace di fare da traino all’economia. 150 anni fa l’Italia nacque per iniziativa di Cavour e Garibaldi. Quest’ultimo era un mercenario che vestì i panni del conquistatore e partì alla volta di Marsala con un’azione di aperta aggressione nei confronti del Regno delle due Sicilie e della Corte Borbonica. In realtà a Garibaldi, probabilmente, non importava nulla di unificare l’Italia, gli interessava solo soddisfare la sua brama di conquista e ottenere (quasi imponendolo) il titolo di Vicere che gli venne poi conferito dai Savoia per i suoi servigi. Questa premessa è fondamentale per capire ciò che è avvenuto in seguito. L’atteggiamento del sud conquistato non è stato diverso da quello di tutti i popoli conquistati anche in epoche più recenti. La nuova amministrazione sabauda era rappresentata da un eroe conquistatore che non aveva certo interessi a gestire territorio e popolazione (Garibaldi era un guerriero, non uno scalda sedie) con un Governo centrale lontano e disinteressato. In quello scenario presero facilmente la prevalenza i potentati locali che occuparono tutti i centri economici e di potere, quegli stessi potentati che poi nel tempo diedero origine ad una sorta di amministrazione alternativa ed occulta che fu l’embrione del fenomeno mafioso. Al tempo stesso il disinteresse della Monarchia Sabauda per quelle popolazioni portò al rapido impoverimento culturale di quei territori e all’appiattimento sociale distruggendo ogni più piccola fiammella di iniziativa privata e di innovazione. Se ben ci si pensa è successa la stessa cosa nei Paesi dell’est europeo nell’immediato dopoguerra, durante la dominazione sovietica. Chi ha potuto vedere quei luoghi in quel periodo, si ricorda benissimo di gente svuotata, che trovava solo rifugio nell’alcol, priva di prospettive, consapevole di essere schiavizzata e che proprio per una sorta di reazione istintiva, aveva ridotto al minimo le proprie attività quasi a non voler collaborare con l’invasore, adattandosi alla logica dell’assistenzialismo socialista. La dominazione sovietica sull’est Europa è durata 40 anni, terminati i quali la gente ha ripreso il proprio ruolo facendo ripartire i loro Paesi. Purtroppo la dominazione italiana sul meridione dura da 150 anni e dobbiamo convivere con una situazione ormai cristallizzata. Se sposiamo questo ragionamento, che pure ha rilievi storici di una certa valenza, appare fondato il principio leghista teso alla suddivisione del Paese in stati indipendenti e magari solo formalmente federati tra loro, non foss’altro che per permettere al sud di riacquistare la propria identità economica e culturale. In realtà non dobbiamo scordare che la politica internazionale degli ultimi 30 anni è stata di tipo aggregativo e ha avuto per obiettivo l’unione europea e con essa l’integrazione di tutti i popoli e i territori emarginati. Purtroppo la politica italiana, caratterizzata dalle sue profonde divisioni interne, non ha saputo cogliere questa formidabile spinta aggregativa (almeno non l’ha colta all’interno dei propri confini) e ha lasciato che il meridione continuasse nel più totale abbandono istituzionale. La cosa in fondo non deve sorprendere: come può una politica profondamente divisa in compartimenti stagni e opposti tra di loro, una politica ferma nel più totale immobilismo e dominata dalle contrapposizioni e dalle logiche di potere, come può questa politica essere motore dell’unità del Paese ??? Infatti non lo è stata e il Paese oggi è più diviso di prima sia economicamente che culturalmente. Il Mezzogiorno d’Italia ha oggi le stesse infrastrutture che aveva 50 anni fa ma con l’aggravante di 50 anni di incurie, il territorio frana, le case si sgretolano, la amministrazioni disperdono fiumi di denaro pubblico a fini di interesse personale dei politici, la popolazione vive di assistenzialismo e connivenze, l’economia recede in continuazione, la poca imprenditoria che resiste è taglieggiata dalla malavita organizzata, lo Stato è assente e la società è ancora di tipo feudale con i potentati locali di stampo mafioso a farla da padroni. Tutto questo è stato reso possibile dalle divisioni della politica italiana e la responsabilità di questo stato di cose non può che essere addebitata a tutti i nostri politici, di destra e di sinistra, nessuno escluso. E’ certamente importantissimo che vengano arrestati decine di illustri Capi mafia ma se a questi arresti non corrisponde una adeguata, capillare ed irreprensibile presenza politico- amministrativa e gestionale dello Stato, tali successi diventano inutili perché in tempi rapidissimi i potentati malavitosi si riorganizzano individuando nuovi leader e lasciando immutato lo scenario generale. Eppure l’eredità di Garibaldi ci fornisce, specie in questo momento di grave dissesto economico internazionale, una grandissima opportunità. Una fondamentale Legge dell’economia suggerisce che un Paese fortemente arretrato possa, con gli interventi adeguati, realizzare molto facilmente e rapidamente un importante balzo economico mentre per contro, l’ulteriore incremento economico di un Paese già fortemente sviluppato risulta difficilissimo da realizzare e comunque richiede sforzi immani. Si tratta dello stesso principio per il quale un’azienda, con un progetto vincente ed un adeguato piano di investimenti, riesce ad aumentare il proprio fatturato da 0 a 5 in modo rapido e con sforzi contenuti mentre l’operazione risulta difficilissima e a volte impossibile quando, raggiunta una posizione di leadership sul mercato, si richiede un banale incremento anche solo di 1 misero punto percentuale. Garibaldi ci ha consegnato un Paese nel quale coesistono un nord altamente sviluppato che cresce al ritmo delle migliori economie mondiali e un sud caratterizzato da livelli di arretratezza da terzo mondo nel quale l’economia è, se possibile, in fase di ulteriore recessione. Questa paradossalmente oggi è la grande fortuna del nostro Paese. Anche uno studente al primo anno di economia comprende che l’investimento in un programma di sviluppo nella parte più degradata del Paese può rappresentare un, relativamente facile, enorme balzo in avanti del PIL dell’intera nazione mentre lo stesso investimento fatto nel nord sviluppato avrebbe effetti trascurabili. Per questa ragione dobbiamo contrapporci con forza alla logica populista e separatista della Lega, con un’argomentazione chiara ed inconfutabile “ IL SUD NON E’ UN PESO MA E’ UN GRANDISSIMA OPPORTUNITA’ “ Fin qui l’aspetto meramente economico e sociale. Occorre tuttavia considerare che un discorso sullo “Stato dell’Unione” non può prescindere dall’affrontare il tema idealistico. L’azione di Garibaldi ha consegnato alla storia un paese politicamente unito ma essendo stata un’azione di conquista non è riuscita a dare agli abitanti l’identità di Italiani. Probabilmente è questo il motivo per cui gli abitanti della penisola hanno uno scarsissimo spirito di appartenenza e i sociologi sono quasi tutti concordi nel definire gli Italiani “Esterofili”. Non si può inoltre negare che solo fino a 20 anni fa gli emigranti del Sud Italia venivano fortemente discriminati perfino all’interno dei confini del loro paese e che tale discriminazione è cessata solo a causa della recente forte immigrazione di popolazioni africane che hanno soppiantato i meridionali nelle pulsioni razzistiche. L’Italia non ha un’identità di popolo ma è formata da una moltitudine di etnie che tradizionalmente, ancor oggi, mal si sopportano tra loro. Su questo principio ha trovato, negli anni, terreno fertile la Lega. Anche in questo caso non si può non addebitare enormi responsabilità alla politica, perche questo è un fenomeno culturale che richiedeva un adeguato programma di integrazione sociale, programma che non è mai stato predisposto. Si è preferito attendere che il corso dei secoli cementasse l’Unione confidando che fosse più forte delle tradizioni e dei campanilismi. Oggi purtroppo dissento dal parere del Capo dello Stato; l’Italia è più divisa che mai e per unificarla c’è bisogno per prima cosa di politici che siano pronti a collaborare tra loro per lo sviluppo economico e culturale del Paese. Forse proprio questa è la vera chimera, i litigi continui dei politici hanno caratterizzato gli ultimi 20 anni del nostro Paese, 20 anni cruciali nei quali abbiamo bruciato gran parte del patrimonio accumulato nella grande rinascita economica degli anni ’60, 20 anni vissuti nel dualismo tra Berlusconi e i leader che di volta in volta gli si sono parati davanti, 20 anni inconcludenti nei quali le uniche Leggi che sono state fatte riguardano aspetti personali della vita dei politici o argomenti di cui non frega nulla a nessuno come ad esempio, l’obbligo di tenere i fari accesi in autostrada. Ci vuole una terapia d’urto, uno Stato centrale forte capace di ripianare le differenze sociali all’interno del Paese per poi farlo marciare compatto nella direzione dello sviluppo e della crescita economica, altro che Federalismo, ora più che mai serve la centralizzazione. Il vero problema però è costituito dalla tenace resistenza dei poteri occulti del mezzogiorno, poteri capaci di arrivare ad influenzare perfino lo Stato centrale. Ecco perché è fondamentale l’unità della politica, perché solo così si può sconfiggere veramente il malaffare capitanato da potentati estremamente radicati tra la gente comune, anche utilizzando, se ritenuta opportuna, tutta la forza dello Stato e delle sue Istituzioni. Invito pertanto i rappresentanti di tutte le forze politiche, compreso quella di cui faccio parte, a dialogare e soprattutto operare nel nome del supremo interesse nazionale perché possiamo ritrovarci qui tra 50 anni a festeggiare i 200 anni di un’unità d’Italia finalmente davvero compiuta. Marco Corrini Membro del Comitato Regionale Piemontese di Alleanza per L'Italia www.corrini.com - tel. 377 3104474

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