martedì 1 marzo 2011

FRANCESCO RUTELLI : COME USCIRE DALLE SECCHE POLITICHE

Un agile vascello per uscire dalle secche 01/03/2011 | Francesco Rutelli Ad un centro riformatore spetta una funzione-chiave: non di "ago della bilancia", oscillante tra le due coalizioni esistenti, ma di aggregatore delle forze capaci di guidare le riforme. Finirà sui libri di storia il voto di 315 deputati che hanno confermato, sì, che il premier italiano era davvero convinto che una belloccia fanciulla marocchina fosse la nipote del raìs egiziano Mubarak e che si trattasse di evitare una crisi internazionale. Quando si dovrà raccontare l´Italia tra primo e secondo decennio dopo il Duemila, gli storici descriveranno la fragilità politica e la stagnazione economica, le fratture territoriali, la crescente emarginazione dai centri di decisione europea e internazionale. Ma, soprattutto, si occuperanno di quello di cui oggi parlano tutti, in ogni conversazione di bar, cena di famiglia, imprecazione o pettegolezzo: di Berlusconi. Ripeteranno la domanda che mi rivolge oggi qualsiasi personalità extra-italiana: perché? Perché, dopo un bilancio tanto fallimentare a seguito di quasi un decennio di governo niente crescita, niente riforme, niente considerazione nel mondo e dopo la caduta nella commediola del gossip, perché non si è formata un´alternativa, tra il 2008 e il 2011? La questione è serissima. E per rispondere, bisogna guardare oltre l´indubbia capacità di combattimento del premier. Una causa è la crisi della sinistra. L´impossibilità, per la sinistra, di costituire un´alternativa. Perché essa non è mai stata in grado di radunare da sola la maggioranza del popolo italiano, neppure quando era fautrice di riforme sociali importanti, e non può certo farlo oggi, quando manca di un pensiero solido, ed è di volta in volta terreno per scorribande minoritarie, che finiscono per ridurla all´impotenza (il giustizialismo politico ed editoriale; la ventata zapaterista della metà del decennio scorso; narrazioni nostalgiche). Una seconda causa è la mancanza di coraggio dei moderati, dei neoborghesi (ovvero, dei piccoli imprenditori autonomi, dei soggetti produttivi e professionali attivi in Italia), dei rappresentanti dell´economia e della finanza, ad impegnarsi per una Terza Via, altra rispetto alla sinistra che non può guidare ed alla destra del populismo mediatico. Quelli che non si accontentino di "tenere la sinistra all´opposizione", avendo considerato Berlusconi, all´inizio, un´opportunità; poi, un male minore; infine, una delusione, che può condurre all´astensione dal voto. Questa doppia crisi è tutt´uno con il fallimento del bipolarismo all´italiana. E con il parossistico tentativo di tenerlo in piedi: perché la sinistra ha bisogno di Berlusconi per esistere. E Berlusconi ha bisogno della sinistra per sopravvivere. Oggi, come in tutta la vicenda moderna dell´Italia, le forze moderate e riformatrici sono in minoranza. Abbiamo imparato, peraltro, che solo nelle stagioni in cui esse hanno tessuto pazientemente, e sono riuscite ad imporsi, si sono determinate svolte creatrici nella vita nazionale. Questa la funzione di Cavour per l´unità, che celebriamo in questi giorni. Questa la ricostruzione del secondo dopoguerra guidata da De Gasperi. Ora, non si vedono grandi leader. Ma molte buone ragioni per unire le forze, giovani e meno giovani, che condividono il dovere storico di uscire da queste crisi nell´unica direzione possibile: un governo di larga coalizione, che faccia riforme indispensabili per l´economia e la salvaguardia della dignità e dell´efficacia delle istituzioni (il bene prezioso della democrazia liberale). Attraverso un riequilibrio politico che non faccia dominare posizioni assurde; come il separatismo leghista nel tempo globalizzato, in cui tutti gli Stati che non vogliano contare ancora di meno tendono, piuttosto, a serrare i ranghi, ad una sintesi di riforme condivise, anziché a localismi e ulteriori antagonismi. Ad un centro riformatore spetta dunque una funzione-chiave: non di un "ago della bilancia", oscillante tra le due coalizioni esistenti. Ma di aggregatore delle forze capaci di guidare le riforme: colpire sprechi e spesa improduttiva, che ancora esistono, per ripristinare l´avanzo primario nei conti pubblici e investire in modo selettivo nei settori capaci di futuro; liberalizzare e accrescere la produttività; riorganizzare le amministrazioni pubbliche, combattere la corruzione e invertire la rotta di un federalismo fatto male, che aumenta le tasse e la complicazione burocratica; fare davvero i cambiamenti su fisco e giustizia promessi ma non realizzati; mettere a fuoco la forza della cultura, del patrimonio, del paesaggio (e farne un vettore della rinascita delle politiche del turismo, il nostro primo settore produttivo); mettere in atto un programma nazionale per le opportunità di lavoro e impresa per le giovani generazioni. Si potrà poi creare una rinnovata democrazia dell´alternanza: con una legge elettorale che non porti a dipendere dalle forze estreme, che in tutta Europa fanno il loro dovere all´opposizione, mentre solo in Italia sono determinanti per ogni governo. Ecco la funzione del Nuovo Polo per l´Italia. Unire, oggi, la minoranza della classe dirigente che ha il coraggio di impegnarsi per le riforme liberali. Noi abbiamo costituito un agile vascello, Alleanza per l´Italia, che sta dimostrandosi molto più solido politicamente, e anche sul piano organizzativo delle attese. Io intendo concorrere a questa navigazione avendo sviluppato un´esperienza precisa: ho tentato di dare un baricentro democratico-riformatore al centrosinistra; abbiamo raccolto tra i 4 e i 5 milioni di voti su questo tentativo (la Margherita); ho concorso alla nascita del Pd perché lo consolidasse, nell´incontro con il riformismo della sinistra democratica. Ma la gramigna del XX secolo ha soffocato l´erba nuova. Sto lavorando da un anno all´aggregazione del Nuovo Polo con i centristi di Casini e dell´Udc, e con quella parte del centrodestra Fini e i suoi che hanno vissuto il fallimento della "rivoluzione liberale" dal '94 ad oggi. Qualche deputato che rema contro, che s´offre e trasmigra altrove può farci più bene, che male. wPerché la nostra è un´impresa per persone che ci credono, che non sono animate da rancore, che hanno capito i guasti del tempo. Non per dignitari dell´Ancien régime, quelli per i quali Talleyrand aveva scolpito il celebre "Non hanno imparato nulla, non hanno dimenticato nulla". Crescerà, questa nostra impresa. Se avremo determinazione, capacità di lavoro comune, respiro strategico.

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